La lastra di Palenque
1. Religioni precolombiane: le fonti
L’America precolombiana ha visto succedersi nei suoi vasti territori una serie di
civiltà, sorte in modo del tutto distinto e indipendente da quelle del vecchio mondo,1
che, a partire dal secondo millennio avanti Cristo, giungono fino alla conquista
spagnola del secolo XVI.
Queste civiltà si sono sviluppate spesso indipendentemente l’una dall’altra o,
addirittura, ignorando reciprocamente la loro esistenza; tuttavia, la matrice sembra
essere stata comune, come testimonia la presenza, in territori anche lontanissimi tra
loro, degli stessi elementi architettonici, in particolare le grandi piramidi a gradoni
aventi la medesima funzione di tempio e di osservatorio astronomico e, insieme, di
richiamo all’archetipo della montagna sacra, la cui riproduzione artificiale risultava
essenziale specialmente laddove la configurazione fisica del territorio si presentava
mancante di montagne.
Anche la sostanziale uniformità dei sistemi calendariali e la presenza policentrica di
culti delle stesse divinità, pur se chiamate nelle diverse civiltà con differenti nomi,2
testimoniano la radice comune o, quanto meno, l’esistenza di comunicazione tra
alcune di quelle culture.3
Una indagine sulle religioni e i miti di questi popoli, benché effettuata da vari
valenti studiosi a partire dal diciannovesimo secolo,4 è a tutt’oggi necessariamente
lacunosa ed imprecisa: ciò perché la scrittura era o totalmente mancante, come nel
caso degli Incas;5 ovvero anche se presente,6 come presso gli Aztechi e altri popoli
che li avevano preceduti in quell’area, si trovava allo stadio abbastanza primitivo
della espressione attraverso pittogrammi. Laddove infine, come presso i Maya, la
scrittura si era evoluta nella direzione di un sistema di segni fonetici, dando luogo alla
redazione di veri e propri libri, questi furono nella quasi totalità distrutti dagli
1 * Prefetto, Vicepresidente del CISM. Conferenza tenuta per il CISM ad Ancona il 24 giugno 2008.
Sulle teorie che volevano far derivare da matrice europea o asiatica le civiltà precolombiane, cfr. Von Hagen 1997, p.
25 ss. ; Thomas 2006, pp.466-67.
2 Così il culto del serpente piumato chiamato Quetzalcoatl dagli Aztechi e Kukulkan dai Maya, e del dio della pioggia,
chiamato Chac dai Maya, Tlaloc dagli Aztechi e Illapa dagli Incas.
3 La comunicazione tra culture messicane e di area Maya è provata quanto meno nel periodo postclassico (ma le affinità
sono ben precedenti), con la formazione della civiltà Maya-Tolteca; più problematico, data la grande distanza e
l’assenza di documentazione, è ipotizzare la comunicazione tra le culture messicane o mesoamericane e quelle del Perù.
4 Le ricerche sulle divinità Maya, basate sui codici superstiti, furono iniziate dal tedesco Paul Shellhas che ne pubblicò
i risultati all’inizio dello scorso secolo (Shellhas 1904).
5 Mentre alcuni autori considerano i quipus (mazzi di cordicelle ognuna di differente lunghezza e colore e recante
diversi tipi di nodi) un vero e proprio sistema di scrittura in grado di trasmettere anche opere letterarie (cfr. Dominici
2003), la maggioranza degli studiosi concorda nel ritenerli null’altro che un sistema di cui i funzionari Inca si
avvalevano per registrare e contabilizzare persone, capi di bestiame, contributi obbligatori delle comunità locali in
merci o forza lavoro, ecc.; o, tutt’al più, un ausilio mnemonico per trasmettere brevi messaggi (v. Von Hagen 1973, p.
184 ss.).
6 Si ritiene ormai generalmente che le scritture dei vari popoli precolombiani derivino tutte dalla più antica civiltà
olmeca (1500-400 a.C.), di cui le prime testimonianze scritte conosciute si fanno risalire intorno al 500 a. C.
1
inquisitori spagnoli, in quanto ritenuti opera del demonio per il loro contenuto riferito
a religioni pagane.7
Ne consegue che, al di là di quanto risulta dalla interpretazione dei resti
archeologici, le fonti originali alle quali possiamo attingere per ricostruire il pensiero
sacro dei popoli precolombiani si limitano a un ristretto numero di documenti
originali: questi consistono in diversi codici aztechi o di altre civiltà affini (di cui
pochi redatti in epoca precoloniale); in alcuni lienzos (lenzuoli dipinti) aztechi;8 nei
quattro codici maya scampati al rogo;9 mentre non giovano le iscrizioni sui
monumenti, in quanto sono quasi esclusivamente di carattere storico - dinastico.
Un buon grado di attendibilità, pur con le modifiche introdotte per adeguarsi
all’ideologia cristiana dei conquistatori, può attribuirsi ad un gruppo di testi di fonte
indigena, scritti nella quasi totalità nei primi anni successivi alla Conquista pur se
spesso copie di libri più antichi: oltre ai codici aztechi, redatti per la maggior parte
nell’epoca coloniale in pittogrammi e recanti talora la spiegazione in spagnolo, e a
quelli maya, sono di grande rilievo alcune compilazioni, scritte traslitterando in
caratteri latini le lingue locali. Il principale e il più noto di tali testi è il Popol Vuh
(‘Libro della Comunità o del Consiglio’) dei Maya Quiché,10 spesso definito ‘la
Bibbia dei Maya degli Altipiani, in lingua quiché. Sempre di provenienza maya sono
i libri detti del Chilam Balam (‘Sacerdote Giaguaro’) dell’area dello Yucatan, redatti
in lingua yucateca, che riportano per lo più avvenimenti storici e profezie ma anche
una trattazione del complesso meccanismo dei calendari, tra cui l’anno sacro di
duecentosessanta giorni chiamato tzolkín (i Quiché lo chiamavano cholquin e gli
aztechi tonalpohualli).11
Oltre ai testi sinora citati, riflette indirettamente il mondo religioso e rituale
indigeno, pur non potendo essere definito testo sacro ma piuttosto, semmai, dramma
sacro, il dramma maya Rabinal Achí in lingua quiché,12 proveniente dalla tradizione
orale e raccolto per iscritto nel diciannovesimo secolo, che la critica ritiene
ampiamente originale salvo alcune autocensure apportate dagli indigeni in ordine
agli aspetti religiosi per evitare la repressione del dominatore spagnolo; analogo
carattere, ma di autenticità assai più discussa benché contenga brani certamente
originali, ha il dramma inca Ollanta, in lingua quechua. 13
Per il resto, la nostra conoscenza del mondo sacro precolombiano si rifà
principalmente a fonti scritte dagli Spagnoli o da esponenti ispanizzati degli stessi
popoli sottomessi: sotto il profilo religioso sono particolarmente interessanti, benchè
ovviamente di parte, le testimonianze dei missionari spagnoli. Citiamo in particolare
per i Maya il francescano Diego de Landa, Relación de las cosas de Yucatán, 1566;
7 L’inquisitore francescano Diego de Landa, in seguito primo vescovo del Guatemala, fece bruciare nel 1512 a Maní in
un rogo un numero controverso di libri Maya (27 secondo lo stesso Landa; secondo altre fonti, “novantanove volte
tanti” o addirittura varie tonnellate: si stima si trattasse di circa cinquemila esemplari).
8 Citiamo il Lienzo de Tlaxcala e il Lienzo de Zapacatec.
9 Libri su corteccia d’albero ripiegata in pagine: quelli superstiti sono il Codice di Dresda, il Codice Trocortesiano o di
Madrid, il Codice Peresiano o di Parigi e il Codice Grolier di Città del Messico.
10 Popol Vuh 1960
11 El libro de los libros de Chilam Balam 1965.
12 Romagnoli 2004.
13 Attribuito a P. Antonio Valdez (XVIII sec). Tr. it in Romagnoli, op.cit.
2
per gli Aztechi, il gesuita Bernardino de Sahagứn, Historia General de las cosas de
Nueva España, 1575-77 (cosiddetto Codice Fiorentino) e il domenicano Diego
Durán, Libro de dioses y ritos indigenos, 1574-76; per gli Incas i gesuiti José de
Acosta, Historia natural y moral de las Indias, 1590 e Bernabé Cobo, Historia del
Nuevo Mundo, 1653. Da citare ancora per le notizie sulla religione inca, peraltro
volutamente travisata per conciliarla con quella cristiana, i Comentarios reales de los
Incas (1609) di Garcilaso de la Vega detto El Inca, in quanto figlio di un
Conquistador e di una principessa della famiglia imperiale peruviana.
2. Testi sacrali
Andando più specificamente all’oggetto di questa conversazione, fra tutti i testi
citati hanno il carattere di libri sacrali dei popoli precolombiani soltanto quelli a
carattere prevalentemente religioso, prodotti direttamente dai popoli stessi, seppure
compilati in epoca coloniale e/o pervenutici in trascrizioni anche più tarde; essi
peraltro sono propri di alcuni soltanto di questi popoli, e in particolare di quelli che
conoscevano la scrittura. Tali sono alcuni codici aztechi e i quattro codici maya
superstiti; il Popol Vuh dei Maya Quiché e i libri del Chilam Balam dei Maya dello
Yucatan. A questi potrebbe aggiungersi il citato dramma Maya Rabinal Achì, sul cui
carattere sacrale ho già scritto e che meriterebbe una trattazione a parte.14
Come osservazione preliminare sui testi sacri precolombiani, va annotato che gli
stessi hanno generalmente un carattere non esclusivamente dottrinario, ma
eterogeneo, trattando insieme di religione, astronomia, storia, vita amministrativa e
quotidiana del popolo. Su questo concetto torneremo nelle conclusioni.
3. I codici precolombiani
Tra i testi dei popoli precolombiani di contenuto sacrale vanno ricordati
innanzitutto i codici aztechi ed i codici Maya.
3.1 Codici aztechi
Con l’espressione ‘Codici Aztechi’ si indicano i manoscritti opera di autori aztechi
nel periodo precolombiano e in quello della conquista spagnola. Questi codici
costituiscono una fonte primaria per la conoscenza della cultura azteca: la maggior
parte di essi narrano la storia leggendaria e fatti della vita amministrativa e quotidiana
di quel popolo, mentre alcuni hanno un contenuto più specificamente religioso, che li
individua come testi sacrali.
I pochi codici redatti in epoca precolombiana sono pittografici. I codici dell'era
coloniale, invece, non contengono solamente pittogrammi, ma anche scritti in lingua
Nahuatl (traslitterati in caratteri latini), in spagnolo e, occasionalmente, in latino.
Nonostante ci rimangano solamente pochissimi codici pre-conquista, la tradizione
dello tlacuilo (pittore di codici) sopravvisse alla transizione alla cultura coloniale; gli
studiosi hanno accesso attualmente a circa 500 codici dell'epoca.
Il materiale utilizzato era costituito da fibre d’agave pestate e ridotte a foglio, che
veniva imbiancato a calce e sul quale venivano dipinti i testi.
14 G.Romagnoli: Rabinal Achì: travestimenti di un dramma sacro Maya, in Sacra Scaena 2/2005, pp. 87-96.
3
In un elenco dei principali codici possono ricomprendersi ventuno titoli
convenzionali, tra i quali sono di epoca precolombiana il Codice Borgia, il Codex
Borbonicus ed il Codice Fèjervary-Mayer, mentre sono dell’epoca della conquista, o
anche posteriori: il Codice Boturini (1530-1541); il Codice Mendoza (1541) oggi a
Oxford; il Codice Fiorentino già citato (raccolta di dodici libri realizzata negli anni
1540-1582 sotto la direzione di Bernardino de Sahagun); il Codice Tepetlaozoc di
Londra; il Codice Osuna (1565); il Codice Aubin (1576, conservato nella
Bibliothèque Nationale de France a Parigi); il Codice Magliabechiano; il Codice
Cozcatzin; il Codice Ixtlilxochitl; il Libellus de Medicinalibus Indorum Herbis
(1522); il Codice Laud; il Codex Vaticanus B; il Codice Cospi; il Codice Cozcatzin
(1572); il Codice Telleriano-Remensis; il Codice Ríos (una traduzione italiana, con
integrazioni, del Codice Telleriano-Remensis, nella Biblioteca Vaticana); il Codice
Ramirez (scritto da Juan de Tovar); gli Anales de Tlateloco, codice post conquista
conosciuto anche come Unos Anales Históricos de la Nación Mexicana; il Codice
Durán (storia scritta da frate Diego Durán); il Codice Xolotl (un codice pittografico
che racconta la storia della Valle del Messico e di Texcoco, in particolare dall'arrivo
di Xolotl nella valle alla sconfitta di Azcapotzalco nel 1428); il Codice Azcatitlan.
Tra questi, sono da considerare testi sacrali il Codex Borbonicus, il Codice
Magliabechiano, il Codice Ixtlilxochitl, il codice Borgia, il Codice Fèjervary-Mayer
ed il Codice Telleriano-Remensis.
Esaminiamo qui di seguito i codici di carattere prevalentemente sacro.
3.1.1 Il Codex Borbonicus
Di origine preispanica, é conservato nella biblioteca del Palais de Bourbón a Parigi.
Consta di 36 pagine. Il carattere sacro emerge dalle molte figure mitologiche e dalle
relative storie che vi compaiono.
Il suo contenuto può essere suddiviso in tre sezioni:
· La prima sezione comprende un complicato tonalamatl, o calendario
divinatorio: analogo ai calendari degli altri popoli della mesoamerica, si fonda
sulla combinazione di un ciclo solare annuale di 365 giorni, diviso in 18 mesi
di 20 giorni, con 5 giorni aggiuntivi, e di un ciclo cerimoniale o anno sacro di
260 giorni, basato su 20 periodi ciascuno di 13 giorni. Ogni data è espressa
secondo i due calendari; la stessa combinazione di data può riprodursi solo
ogni 52 anni. In ciascuna pagina del codice è rappresentato uno dei 20 periodi
di 13 giorni, o trecena, che componevano l’anno rituale azteco di 260 giorni,
chiamato tonalpohualli;
· La seconda sezione documenta il ciclo temporale mesoamericano di 52 anni,
mostrando le date del primo giorno di ciascuno dei 52 anni solari;
· La terza sezione verte sui rituali e le cerimonie azteche, in particolare quelle
che concludevano il ciclo di 52 anni, momento nel quale, come essi dicevano,
il nuovo fuoco si sarebbe acceso.
Sul codice sono riportate glosse in lingua spagnola, apposte da qualche suo
proprietario man mano che lo decifrava. Come molti altri codici di origine
precolombiana, non è l’originale, ma la copia di un altro o di altri più antichi.
4
3.1.2 Il CodiceMagliabechiano
Il Codice Magliabechiano, così chiamato dal nome di Antonio Magliabechi, un
bibliofilo del diciassettesimo secolo, fu redatto intorno alla metà del sedicesimo
secolo, nel primo periodo coloniale Spagnolo, ed è conservato presso la Biblioteca
Centrale Nazionale di Firenze.
Basato su di un precedente e sconosciuto codice, è principalmente un documento
religioso. In esso sono raffigurati i 20 nomi dei giorni del tonalpohualli, le 18 feste
mensili, il ciclo di 52 anni, varie divinità, riti religiosi, usanze e credenze
cosmologiche.
Il codice è composto da 92 pagine, con disegni e testo in spagnolo su entrambe le
facciate.
3.1.3 Il Codice Ixtlilxochitl
Il Codice Ixtlilxochitl è il frammento di un manoscritto del primo XVII secolo che
contiene, unitamente ad altri argomenti, un calendario delle feste e dei riti che
venivano celebrati nei teocalli (templi) Aztechi durante l'anno. Ognuno dei 18 mesi è
rappresentato dalla figura di un dio o di un personaggio storico. Il codice è scritto in
spagnolo, su carta, ed è composto da 50 pagine su 27 fogli, con 29 disegni. La fonte
da cui deriva è la stessa del Codice Magliabechiano. Il codice prende il nome da
Fernando de Alva Cortés Ixtlilxochitl, un membro della famiglia dominante a
Texcoco ed è attualmente conservato alla Bibliothèque Nationale de France a Parigi.
3.1.4 Altri codici di carattere sacro
· Il Codice Borgia è un codice rituale preispanico. Con lo stesso nome vengono
indicati diversi codici conosciuti come il Gruppo Borgia. E’ conservato nella
Biblioteca Vaticana.
· Il Codice Fejérvary- Mayer è un calendario preispanico.
· Il Codice Telleriano-Remensis contiene un calendario, un almanacco
divinatorio (tonalamatl) e la storia del popolo azteco.
3.2 I codici Maya
Solamente tre codici, risalenti al periodo classico (250-950) anche se compilati in
epoca più tarda, e una parte di un quarto sono sopravvissuti sino ai nostri tempi.
Simili per forma e struttura, ciascuno è scritto su un solo foglio lungo quasi sette
metri e alto 20/22 centimetro ripiegato a fisarmonica in pagine larghe circa 11
centimetri a formare un libro, ricco di illustrazioni. Essi sono i seguenti:
3.2.1 Il Codex Dresdensis
Redatto tra il 1200 e il 1250 d.C., è conservato nella Biblioteca di Dresda. Consta di
74 pagine redatte da otto diversi scribi ed ha un carattere eminentemente
astronomico, ma contiene anche numerosi oroscopi ed alcune indicazioni sui riti,
oltre a trattare di dei e di aspetti di vita quotidiana come l’agricoltura.
5
3.2.2 Il Codex Peresianus o Codice di Parigi
Il Codice Peresiano è un codice scritto da sacerdoti aztechi all'incirca negli anni
della conquista spagnola. Come tutti i codici precolombiani era in origine
completamente pittorico e scritto con i caratteri locali, tuttavia vi furono aggiunte più
tardi alcune descrizioni in lingua spagnola. Il codice, il cui contenuto può essere
definito ritualistico, consta di ventidue pagine ed è conservato a Parigi, nella
Bibliothéque National.
3.2.3 Il Codex Tro-Cortesianus o Codice di Madrid
Il Codice Tro-Cortesiano, così chiamato perchè composto di due parti riunite nel
1888 e note come codici Troano e Cortesano, risale al tardo periodo Maya preconquista
(1400 circa) ed è probavilmente una copia postclassica di un manuale del
periodo classico. Esso consta di 112 pagine ed è conservato nel Museo de América
di Madrid. Ha carattere eminentemente astrologico, contenendo oroscopi e tavole
divinatorie usate dai sacerdoti.
3.2.4 Il Codice Grolier o Frammento Grolier
Scoperto negli anni Settanta, è un frammento di 11 pagine di cui si è discussa
l’autenticità. E’ custodito in un museo di Città del Messico, ma non è esposto al
pubblico. Ciascuna pagina mostra un eroe o un dio.
4. Il Popol Vuh
Il più importante testo sacro che ci è pervenuto è il Popol Vuh, che significa ‘Libro
della comunità, o del consiglio’. Esso è opera propria dei Maya Quiché, una
popolazione del periodo postclassico (900-1500 ca.) formatasi nell’altipiano centrale
del Guatemala dalla fusione tra gli originari Maya ed i conquistatori Toltechi, venuti
dal Messico, che dette luogo alla cosiddetta civilità Maya-Tolteca con capitale a
Gumarcah, che i messicani chiamarono Utatlán, o Luogo delle canne. Scritto in
lingua quiché traslitterata in caratteri latini, è opera ricca e complessa.
Il suo prototipo è un manoscritto, noto come il manoscritto di Chichicastenango dal
luogo in cui fu rinvenuto, redatto in epoca coloniale tra il 1554 e il 1558 circa da un
indigeno anonimo che conosceva lo spagnolo (non ci sono prove che fosse Diego
Reynoso, un religioso cui è stato talvolta attribuito). L’autore dichiara di averlo
scritto, «ormai sotto la legge di Dio, il Cristianesimo», perchè «non si vede più» il
Popol Vuh, ossia è andato perduto il libro originale, che probabilmente consisteva in
pitture che i sacerdoti interpretavano davanti al popolo, mentre c’è da dubitare che
fosse uno scritto in forma letteraria fissa.
Nel 1701-1703 il Padre Domenicano Francisco Ximénez ne trascrisse il testo,
redatto in lingua indigena (il quiché), con la traduzione in spagnolo, ampliandone la
versione originaria con storie che si tramandavano in forma orale o attraverso altre
fonti scritte, la cui esistenza è citata dai cronisti dell’epoca ma che sono andate andate
tutte perdute. Il testo quiché fu ripubblicato e tradotto in francese nel secolo
6
successivo dall’Abbé Charles Etiénne Brasseur de Burbourg, che lo definì Livre
Sacré e vi introdusse una divisione in quattro parti ed una suddivisione in capitoli:
tale è la forma in cui lo conosciamo oggi.
Il libro contiene le credenze cosmogoniche e le antiche tradizioni del popolo
Quiché, la storia delle sue origini e la cronologia dei suoi re fino al 1550. Esso inizia
con il mito maya della creazione, seguito dalle storie dei due eroi gemelli Hunapu
(Junajpu) e Ixbalanqué (Xb’alanke), figure salienti della mitologia maya,
proseguendo poi con i dettagli della fondazione e della storia del regno Quichè,
cercando di dimostrare come il potere della famiglia reale provenisse dagli dei.
Una schematica illustrazione dei contenuti è la seguente:
La prima parte parla della creazione.
Gli dei creano il mondo.
Gli dei creano poi gli animali, però, giacché non sono lodati da loro, li condannano a
mangiarsi l’un l’altro.
Gli dei creano quindi gli uomini di fango, che però sono fragili e instabili e non li
lodano.
Gli dei creano infine i primi esseri umani di legno, ma questi risultano imperfetti e
mancanti di sentimenti.
Gli dei decidono perciò di distruggere i primi esseri umani, che si trasformano in
scimmie.
Gli eroi gemelli Hunahpú e Ixbalanqué, per mandato divino, uccidono l’arrogante
demonio Vucub-Caquix re dello Xibalba o inframondo sotterraneo, e poi i suoi figli
Zipakná e Kabrakán.
La seconda parte, con un iniziale flash back narra la nascita di Hunahpú e
Ixbalanqué, a partire dai loro nonni Ixpiyacoc e Ixmucané (dei quali ultimi il testo
dice: non diremo altro).
Ixpiyacoc e Ixmucané generano due gemelli: HunHunahpú e VucubHunahpú.
HunHunahpú e Xbaquiyalo generano i ‘gemelli scimmia’ HunBatz e HunChouen.
I signori dell’inframondo sotterraneo o Xibalbá uccidono i fratelli HunHunahpú e
VucubHunahpú, che li avevano disturbati giocando a palla, appendendo la testa di
HunHunahpú a un albero.
La testa di HunHunahpu sputa sulla mano di Ixquic, ingravidandola.
Nascono gli eroi gemelli Hunahpú e Ixbalanqué (definiti divini) che vivono con la
madre e la nonna paterna Ixmucané, competendo con i fratellastri-scimmia HunBatz
e HunChouen.
Gli eroi gemelli discendono nell’inframondo sotterraneo e dopo avere passato le
prove della casa della penombra, dei coltelli, del freddo, del gaguaro, del fuoco e dei
pipistrelli distruggono i signori dello Xibalba. Infine, dopo aver governato
saggiamente il loro popolo, ascendono al cielo.
La terza parte parla della creazione definitiva degli uomini, che gli dei forgiano da
un impasto di mais, e descrive le loro comunità.
7
Vengono creati i primi quattro re: Balam-Quitzé, Balam-Acab, Mahucutah e Iqui-
Balam.
Vengono create le prime quattro donne.
Le tribù che discendono da loro parlano la stessa lingua e migrano a Tulan Zuiva.
La lingua delle tribù si confonde ed esse si disperdono.
Tohil è riconosciuto come Dio ed esige sacrifici umani.
La quarta parte è una lista di generazioni.
Tohil convince i signori della terra mediante i loro sacerdoti, però il suo dominio
distrugge il Quiché.
La corrente definizione del Popol Vuh come ‘la Bibbia dei Maya degli altipiani’
pone in evidenza il problema dell’influenza su di esso delle Sacre Scritture cristiane,
considerato che, come attesta il suo autore, il libro fu redatto «ormai sotto la legge di
Dio, il Cristianesimo»: tale influsso si rivela in modo particolare nella descrizione
della creazione, in cui molti studiosi ravvisano un forte parallelismo delle prime frasi
con il Libro della Genesi.
Ciò non toglie l’originalità di questo testo sacro quale prodotto tipico della cultura e
della religione maya.
Dalle sue storie sono stati tratti moderni libri di favole.
5. I libri del Chilam Balam
Il complesso di testi noto come Libri del Chilam Balam si formò nell’area dello
Yucatán dopo la conquista spagnola, per cui la sua scrittura e la sua forma materiale
sono europee: ossia, vi sono usati caratteri latini, cui è adattata la fonologia maya, ed
il materiale usato, per lo meno nelle copie tuttora esistenti, è la carta piegata in
quaderni. Il titolo non è quello originale di alcuno di essi, ma è convenzionalmente
accettato per designare questo tipo di libri.
Nella lingua Yucateca, nella quale questi libri sono redatti, Chilam Balam significa
‘Sacerdote Giaguaro’ (come è noto, il giaguaro era per i Maya un animale sacro). In
realtà, Balam è il nome di famiglia del più famoso dei sacerdoti (Chilames) vissuto a
Manì poco prima dell’arrivo degli Spagnoli: questo nome in senso figurato significa
‘giaguaro’ o ‘mago’; mentre chilam (o chilan) è il titolo che si dava alla casta
sacerdotale che interpretava i libri e la volontà degli dei, e significa ‘colui che ha
bocca’. La fama del sacerdote Chilam Balam è legata al fatto che egli, già prima della
Conquista, profetizzò l’avvento di una nuova religione.
Si può supporre che il moltiplicarsi di questi libri da un unico originale avvenisse
così: uno o più sacerdoti maya, istruiti dai frati missionari a leggere e scivere nella
propria lingua usando i caratteri latini, trascrissero alcuni testi religiosi e storici
contenuti nei loro libri ‘geroglifici’, includendovi le profezie di Chilam Balam. Ne
furono fatte più copie che passarono nelle mani di altri sacerdoti maya nativi di altri
paesi, venendo coì a includere nella loro denominazione il luogo di provenienza:
abbiamo così il Chilam Balam di Chumayel; il Chilam Balam di Tizimín ecc.
Questi libri, ritenuti sacri e letti in determinate occasioni, furono più volte ricopiati
man mano che si deterioravano, includendo errori e cambiamenti, per cui le copie che
8
possediamo, che non sono gli originali del XVI secolo ma copie di copie molto
posteriori, differiscono in più punti l’una dall’altra.
Attualmente sono elencati una dozzina di Libri del Chilam Balam, alcuni dei quali
non disponibili agli studiosi.
Nel 1948 Alfredo Barrera Vásquez e Silvia Rendón hanno pubblicato, sotto il titolo
El Libro del los Libros de Chilam Balam, una traduzione di quei libri ‘locali’ di cui
esistono più varianti, ricostruendone criticamente il testo originario attraverso il
confronto tra le varianti stesse. L’opera include il Chilam Balam di Chumayel¸ il
Chilam Balam di Tizimín, il Chilam Balam di Káua, il Chilam Balam di Ixtil, Il
Chilam Balam di Tekak, il Chilam Balam di Nah, il Chilam Balam di Tusik e il
Codice Pérez, miscellanea di vari frammenti compilata da Pio Pérez nel 1840. Non vi
sono inclusi invece i libri di cui esiste un unica versione, in quanto non suscettibili di
edizione critica.
I libri del Chilam Balam trattano principalmente di storia (sia preispanica che
coloniale), calendari, astrologia ed erbe medicinali. Un’idea più precisa del loro
contenuto può essere resa attraverso il sommario del Chilam Balam di Chumayel,
tradotto in inglese nel 1933 da Ralph L. Roys: quali non disponibili agli studiosi
I: Il rituale del Mondo - I Quattro Angoli.
II: L’ascesa al potere di Hunac Ceel.15
III: Una profezia per undici Ahau Katun.16
IV: La costruzione dei Mounds.17
V: I Protocolli di storia dello Yucatan.
VI: Note sul calendario.
VII: Lo stemma di Yucatan.
VIII: note sull’astronomia.
IX: L’interrogazione dei capi.
X: La creazione del mondo.
XI Il rituale degli Angoli.
XII: Un canto Itzà.
XIII: La creazione di un Uinal.18
XIV: Storia della conquista spagnola.
XV: La profezia di Chilam Balam e la storia di Antonio Martinez.
XVI: Un capitolo di domande e risposte.
XVII: Un incantesimo.
XVIII: Una serie di profezie Katun.
15 Capo della dinastia dei Cocom, dominante la città-Stato dello Yucatan Mayapán, che nel 1194 sconfisse i Tutul Xiu
delle città rivali Chichen Itzá e Uxmal.
16 Il katun, unità di base del tempo nel calendario Maya, è un periodo di 7200 giorni, corrispondente a 20 anni nel
calendario Europeo. Al momento della conquista spagnola, il ciclo calendariale più lungo adottato dai Maya era un
ciclo di 13 katuns, circa 256 anni. I Maya chiamarono questo ciclo u kahlay katanob, "il conto dei katuns". Scrittori che
si sono occupati del calendario Maya speso si riferiscono ad esso come al "conto breve” per distinguerlo dal "conto
lungo" usato nell’era classica (200-900 d.C.) che computava il tempo dalla creazione del mondo attuale.
17 Tumuli di terra o costruzioni a piramide di carattere funerario.
18 Ciclo di venti giorni del calendario Maya.
9
XIX: La prima cronaca.
XX: La seconda cronaca.
XXI: La terza cronaca.
XXII: Un libro di profezie Katun.
XXXIII: L’ultima sentenza.
XXIV: Le profezie di una nuova religione. Il
Conclusioni
La commistione tra religione, storia, istituzioni e vita quotidiana che esiste nei testi
sacri esaminati, è riscontrabile in buona misura anche in testi sacri di altri popoli
come la Bibbia, che è anche e soprattutto un racconto della storia e delle istituzioni
del popolo ebraico, viste in una prospettiva religiosa. Tuttavia, nel caso dei
precolombiani, essa si presenta in modo più spiccato e globale, a causa della loro
visione sacrale di tutto l’universo e delle sue realtà: la deificazione dei corpi celesti,
dei fenomeni atmosferici e di ogni elemento della natura come le fonti, le pietre, gli
alberi ecc, insieme alla convinzione dell’origine divina della stirpe e della natura
sacra dei re, tramiti tra cielo e terra, nonchè degli ordinamenti da essi dettati, ben
spiegano l’integrarsi di tutti questi aspetti in una concezione in cui religione e scienza
- quest’ultima monopolio dei sacerdoti - non sono ancora separati. Una concezione,
questa, che troviamo presente a lungo anche nei popoli del vecchio mondo, fino alle
conquiste della filosofia greca e in particolare di Aristotele, e che riemerse tuttavia
nel mondo cristiano del medioevo sino a Galilei ed alla successiva era
dell’Illuminismo.
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