Periodo di storia della civiltà che ebbe inizio
in Italia con caratteristiche già abbastanza precise intorno
alla metà del 14° sec. e affermatosi nel secolo successivo,
caratterizzato da una fruizione consapevolmente filologica
dei classici greci e latini, dal rifiorire delle lettere e delle arti, della scienza e in genere
della cultura e della vita civile e da una concezione filosofica ed etica più immanente.
Destinato a estendersi successivamente e a differenziarsi nei diversi campi della cultura
e dell’arte, ma con vaste risonanze in ogni settore della vita e dell’attività dell’uomo, il
moto rinascimentale oltrepassò presto i confini dell’Italia per diffondersi negli altri
paesi europei.
1. Il termine
Nella forma attuale e con funzione periodizzante, il termine R. è entrato nell’uso italiano piuttosto tardi (nel 16° sec. si incontra, se mai, Rinascita) e sul modello del francese Renaissance. Il suo significato, a indicare il rinnovamento culturale avvenuto in Italia, può considerarsi consacrato nel celebre Discours préliminaire de l’Encyclopédie, in cui d’Alembert, sintetizzando e sistematizzando concetti elaborati da molto tempo, e ampiamente diffusi nel Settecento, lo imponeva al mondo della cultura, accompagnandolo con una serie di connotazioni destinate a conservarsi a lungo: l’origine della Renaissance collocata nello studio degli antichi, soprattutto dei Greci, e in connessione con la caduta di Bisanzio; la scansione interna alla Renaissancedall’erudizione alle lettere, alle arti, alla filosofia, alle scienze, alle tecniche; la proclamazione che la Renaissance è stata una ‘rivoluzione’ che ha aperto la via alla civiltà moderna quale epoca di illuminazione progressiva in antitesi con le tenebre medievali.
Il Discours si chiudeva con una contrapposizione polemica al Discours sur les sciences et les arts di J.-J. Rousseau (quasi contemporaneo), in cui il r. (rétablissement) delle scienze e delle arti veniva duramente condannato dal punto di vista morale. Si fissava così, intorno al 1751, un’antitesi che in Italia, attraverso F. De Sanctis, troverà un’eco ancora in A. Gramsci: l’antinomia fra splendore culturale e decadenza morale del Rinascimento. La contrapposizione può collegarsi con il giudizio negativo diffuso, nell’Europa cinquecentesca, sulla profonda crisi di valori, oltre che di strutture, che avrebbe accompagnato la decadenza anche economica degli Stati italiani e la perdita dell’autonomia politica.
Taluni storici hanno contrapposto allo splendore culturale la crisi economica e la decadenza etico-politica dell’Italia quattro-cinquecentesca per cercare il ‘vero’R. nel 13° secolo. Altri hanno ravvisato nel contrasto fra ‘depressione economica’ ed espansione culturale le radici delle tensioni interne e del ‘pessimismo’ di fondo di tanta parte della civiltà rinascimentale.
In Italia il termine R. non si diffuse tanto per l’influenza del titolo del notissimo 9° vol. della Histoire de France di J. Michelet, La Renaissance (1855), quanto con la traduzione dell’opera di J. Burckhardt, Die Kultur der Renaissance in Italien (1860; trad. it. di D. Valbusa rivista dall’autore, 1876). Prima d’allora non mancano esempi dell’uso del termine con significato specifico, particolarmente nel Settecento e nei primi decenni dell’Ottocento, e proprio in polemiche sul Medioevo. Tuttavia il termine che ha maggior fortuna è Risorgimento, e di Risorgimento parlano in genere i dotti del Settecento che studiarono quel periodo. Peraltro, se non il termine preciso, espressioni e immagini analoghe (renovatio, restitutio, resurrectio), attestanti proprio la presenza del concetto di un ritorno alla vita, di un rinascere (rinasci), si trovano usate fin dalle origini del periodo in questione.
2. Medioevo e Rinascimento
Il R. si pone consapevolmente come rottura, costruendo la propria immagine nei termini di un programma di rinnovamento contro una civiltà esaurita: una cultura luminosa che si oppone a un mondo tenebroso di barbarie. Le nozioni di Medioevo come età buia e di R. come nuova luce e nuova vita nacquero in contemporanea; la nozione di un’epoca di barbarie, intermedia fra civiltà classica e ‘rinascita’, trasse origine proprio dalla polemica contro i contenuti culturali dell’età di mezzo. Inoltre, via via che il moto rinascimentale venne sviluppandosi, e variamente definendosi, si precisò simmetricamente l’immagine del Medioevo.
È forse lecito affermare che il R. è stato un ritorno alle origini e una scoperta del mondo classico in quanto ha avuto consapevolezza del significato e dei limiti del mondo medievale, ed è stato una forma nuova e originale di classicismo e di umanesimo in quanto ha compreso – e ha respinto – l’uso che il Medioevo aveva fatto dell’antichità. Dalla lingua alle arti e alle scienze, la cultura del R. ha cercato sempre di operare su due fronti: il restauro filologico e la coscienza storico-critica, in modo da evitare sia l’imitazione passiva sia l’assimilazione falsificante. Anche nel Medioevo è costante la presenza dell’antico e di valori e contenuti universalmente umani, poi caratteristici anche del R.; la differenza consiste, da un lato nella misura/">misura, e dall’altro nei modi e nelle forme di tale presenza, che nel R. è, a un tempo, corale e sempre più criticamente storicizzata, e perciò né passivamente subita né deformata in utilizzazioni arbitrarie. L’immagine ricorrente, si pensi solo a L.B. Alberti o a N. Machiavelli, dei colloqui con gli antichi, non è un luogo retorico: è carica di senso, così come il vanto di P. Bracciolini dei classici prima incatenati e sfigurati nel carcere dei monasteri medievali e ora finalmente restituiti alla loro fedele integrità. Ciò che la civiltà medievale si è lasciata sfuggire del mondo antico – questo è il rimprovero ricorrente – è la reale dimensione della sua cultura: o l’ha mutilata isolandone alcuni tratti, o l’ha deformata assimilandola arbitrariamente, o l’ha condannata e respinta senza coglierne il valore esemplare. Questa consapevole storicizzazione dell’antichità classica, nonché delle ‘tenebre’ medievali, non avvenne d’un tratto; essa si svolse e si approfondì con il precisarsi delle ragioni della polemica e del rifiuto, con il chiarirsi della consapevolezza e con il definirsi dei programmi.
La storiografia recente tende per lo più a interpretare il rapporto tra Medioevo e R. nei termini di una dialettica di continuità e discontinuità, che, da un lato, enfatizza la presenza già dal 12° sec. di fermenti manifestatisi compiutamente solo nel periodo umanistico-rinascimentale, dall’altro, rivendica al R. una consapevolezza dell’effettiva portata storica di quel rinnovamento che è un dato di reale novità e che gioca nella direzione di una continuità con l’età della rivoluzione scientifica e l’Illuminismo.
3. Ritorno all’antico e nascita di una cultura nuova
Come si è detto, almeno inizialmente, nella sua prima fase, l’aspetto più vistoso dell’età del R. è il ritorno dell’antico, del mondo classico, della lingua e della civiltà della Greciae di Roma. A prima vista un paradosso: il rinnovamento radicale della cultura viene avviato come riesumazione di un passato lontano. La realtà è molto più complessa. Per le città italiane, dove la nuova cultura nasce, si tratta subito anche di un moto di riscossa ‘nazionale’, un risorgimento, in nome di una grandezza politica non dimenticata. Il ritorno all’antichità classica sembra approfondirsi nel richiamo all’originario, al naturale, diventando reintegrazione o reformatio contro ogni corruzione politica, morale, religiosa. Come gli istituti umani vanno riportati ai principi (secondo la celebre teorizzazione di N. Machiavelli) in modo da invertire il processo degenerativo, così sul piano della cultura è necessario ritornare alla purezza della sorgente e all’integrità degli originali. Pregio infatti dei classici è la fedeltà al reale e all’umano; gli antichi hanno saputo tradurre in modo esemplare la ‘natura’, nel senso che hanno saputo individuare l’essenziale ed esprimerlo.
Dirà M. Ficino che interna alla natura c’è un’arte, ossia una potenza dinamica che la informa: ed è questa forza vivificante che conviene imitare. Il problema dell’imitazione non a caso è ricorrente nella letteratura del R. e sembra costituire un passaggio obbligato. Rifiuto polemico di una cultura disumana; ricerca e riscoperta degli antichi nella loro autenticità; confronto con il mondo antico e comprensione del suo significato; elaborazione di una cultura nuova e originale al di là di una imitazione servile: in questo complesso programma l’humanitas, l’esaltazione degli studia humanitatis, l’humanista e insomma tutto l’Umanesimo, vengono sfumando variamente il loro significato: da studio degli auctores, da ripresa delle artes sermocinales, da riforma linguistica e retorica, a processo di liberazione umana, a nuovi metodi di educazione, a riscoperta del valore dell’uomo, o, meglio, a una nuova fondazione/">fondazione del significato dell’uomo.
Per gradi, il risorgimento dell’antichità classica diventa rivoluzione, una grande ‘rivoluzione culturale’ che investe tutto il pensiero filosofico e scientifico, le arti e l’architettura, la politica e il diritto, la vita religiosa, mentre il mito dell’antico si estende e si trasforma. Prima di Aristotele c’è Platone, ci sono Socrate e Pitagora e i filosofi antichissimi. Alle soglie del Cinquecento G.F. Pico della Mirandola sosterrà che «l’esplorazione dell’Universo intero fu il compito assegnato alla ricerca dei filosofi, non il commento del solo Aristotele», ossia di un uomo, ancorché grande; e nell’Examen vanitatis doctrinae gentium aggiungerà che, al di là dai libri, al di là da Platone e da Socrate, bisogna ricorrere alle cose stesse, a quella che dovrebbe dirsi la biblioteca della natura (quasi bibliotheca naturae).
Il ritorno agli antichi verrà così, oltre il mito, generando il senso della pluralità delle visioni del mondo, della loro parzialità, e quindi della necessità di stabilire dei rapporti: le comparationes (fra Cicerone e Quintiliano, fra Platone e Aristotele). Ne nasceranno, faticosamente, diverse linee interpretative: la concordia universale nell’unica verità di fondo (G. Pico della Mirandola); la irriducibile discordia, per l’incapacità della ragione di giungere per sé alla verità (G.F. Pico della Mirandola e le correnti scettiche); lo sviluppo storico di una verità che si conquista nel tempo (Machiavelli).
Commentaires