Il libro di Antonio Longo offre un importante contributo agli studi sul Mezzogiorno d’Italia, affrancandosi dalla stucchevole e abusata polemica tra filo-borbonici e unitaristi. Esso ci offre infatti una documentazione inaspettata sulla forza e la vitalità di una comunità geografica relativamente periferica e di una componente sociale spesso trascurata, ossia quella che oggi chiameremmo la società civile.
Il microcosmo della Terra di Senise assume infatti il significato esemplare di una comunità che si regge sulla produzione agricola e sul commercio, che diventano componenti essenziali degli stessi equilibri istituzionali e amministrativi, basati a loro volta su moderate forme di autogoverno. L’imposizione del Catasto Onciario carolino, fortemente ostacolato dalle élites locali e completato a Senise nel 1753, mette in luce la vivacità di un’economia tutt’altro che periferica e isolata. I dati fiscali, puntualmente ricostruiti e presentati, danno anzi il quadro di una fortuna economica affidata non all’impegno distratto dei patrizi latifondisti, ma all’esercizio della mercatura, espressione a sua volta di quell’apertura, curiosità e intraprendenza che negli stessi anni stava formando l’Europa borghese. Non a caso, questo processo era stato accompagnato, o favorito, fin dal 1507, dall’attenzione dedicata, per iniziativa del principe Berardino Sanseverino, a un embrione di istruzione pubblica, di cui evidentemente già allora si coglieva il ruolo essenziale per lo sviluppo di una comunità aperta e dinamica, richiamata perciò dal signore a prendersi carico dei costi per la retribuzione degli insegnanti.
Lo studio di Antonio Longo dunque, ribalta molti luoghi comuni sul fatalismo della stasi del Mezzogiorno; e indica quali componenti irrinunciabili dello sviluppo aspetti di drammatica attualità: la fiducia nell’apertura ai mercati, la forza di un localismo non ridotto a campanilismo, il ruolo essenziale delle grandi infrastrutture civili quali fisco, istituzioni e istruzione. Senise può ancora fare scuola.
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