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Writer's pictureAntonio Longo

Napoleone Bonaparte


La fine della Rivoluzione In un dipinto di F. Bouchot si immagina la scena del colpo di Stato del 18 brumaio nel castello di Saint Cloud Il 9 novembre (18 brumaio, secondo il calendario rivoluzionario) del 1799 Napoleone Bonaparte, tornato dalla spedizione militare in Egitto, con un colpo di Stato scioglie il Direttorio e il Consiglio dei Cinquecento, ed emana una nuova Costituzione, con la quale instaura un regime autoritario nel quale il governo è retto da un triumvirato di tre Consoli. Napoleone stesso viene nominato Primo Console con pieni poteri. La rivoluzione è finita. Restano confermati i principi fondamentali: eguaglianza giuridica dei cittadini, fine del feudalesimo, libertà d’impresa, carriere basate sul merito e non sulla nascita, limitazione ai privilegi della Chiesa. Si apre per la Francia e l’Europa intera un periodo nuovo che sfocerà nell’Impero francese e durerà fino al 1815; sedici anni caratterizzati da aspetti di dispotismo illuminato, dalla prima esperienza europea di dittatura moderna, ma anche dalla diffusione massiccia in Europa delle idee della Rivoluzione. La politica interna Nel dibattito politico dei nostri giorni, richiamarsi a uno “Stato napoleonico” vuol dire rifarsi a una concezione della politica interna fondata sul controllo rigido dell’intero territorio statale da parte del governo centrale. Napoleone, infatti, riorganizzò lo Stato sulla base di un forte potere esecutivo e di un efficiente apparato amministrativo, fondato su prefetti e sindaci di nomina governativa, che assieme a un ferreo apparato poliziesco gli garantiva un totale controllo del territorio. Non trascurò di assicurarsi un largo consenso popolare, non solo attraverso i consueti strumenti della stampa, del teatro, e della retorica monumentale che enfatizzava le conquiste militari della sua Francia, ma curò anche la preparazione della future generazioni sottraendo al clero, attraverso l’istituzione della scuola pubblica, il monopolio dell’educazione. Per favorire la pace sociale fece rientrare in Francia i monarchici emigrati durante la Rivoluzione, a condizione che giurassero fedeltà al nuovo governo, e riconobbe la religione cattolica come religione della maggioranza dei francesi con un Concordato con la Santa Sede stipulato nel 1801. Mise mano a un’imponente opera di riordino legislativo sostituendo la molteplicità delle fonti del diritto che caratterizzava l’ancien régime con il nuovo codice civile, che assicurava la libertà d’impresa, l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, il diritto di proprietà, creando le condizioni per lo sviluppo di un nuovo ceto borghese. Con la

successiva emanazione del codice penale, di quello del commercio e dei codici di

procedura civile e penale, l’opera di Napoleone fu alla base della codificazione del

diritto, che nel corso dell’Ottocento si diffuse in tutta Europa.

Riorganizzò, infine, le finanze pubbliche liberando, con l’istituzione della Banca di

Francia, lo Stato dalla soggezione alle banche private.

La politica estera

Napoleone era un genio di strategia militare. Pertanto la sua fu una politica estera

aggressiva e di conquista, in una parola, imperialista.

Conquistò mezza Europa, ma fu fermato dall’Inghilterra contro la quale, non

essendo in grado di arrischiare lo sbarco e l’invasione, tentò il Blocco Continentale

del commercio, cercando di vincerla con l’assedio, ma finendo con il favorire il

contrabbando, giacché non poteva contare su altri Stati come suoi alleati, ma solo

sugli Stati che aveva conquistato e occupato con la forza, a capo dei quali aveva

messo monarchi di sua fiducia (suoi parenti stretti o suoi fidati marescialli).

Il punto massimo delle sue conquiste fu nel 1807, quando, con la pace di Tilsit

l’Europa continentale fu divisa in due grandi blocchi: quello occidentale fino al

confine circa dell’attuale Polonia, sotto la sua diretta influenza – nel 1804 si era

proclamato imperatore con il nome di Napoleone I – e quello orientale sotto

l’influenza della Russia dello zar Alessandro I.

L’accordo durò fino al 1812,

quando Napoleone invase la

Russia, e arrivò a occupare

Mosca senza che l’esercito

russo opponesse grande

resistenza. La tattica dei russi,

infatti, fu quella di ritirarsi

bruciando tutto quello che si

lasciavano alle spalle, cosicché

i soldati francesi non avessero

rifornimenti per sopravvivere,

contando sul fatto che non

erano materialmente in grado

di farli giungere dalla Francia

in tempo utile. Fu la prima

disastrosa sconfitta di Napoleone; nel gelido inverno russo fu costretto a ritirarsi.

Nell’immagine in alto il percorso della campagna di Russia in una rappresentazione cartografica da



La sconfitta in Russia diede animo ai paesi conquistati, i quali si sollevarono

uniti contro Napoleone e, l’anno successivo, lo sconfissero a Lipsia.

Napoleone fu dichiarato decaduto e si ritirò sull’isola d’Elba. In Francia, riportata ai

confini del 1792, fu restaurata la monarchia sotto il regno di Luigi XVIII, fratello

di quel Luigi XVI ghigliottinato dai giacobini.

Napoleone, però, non si arrese. Dopo essere fuggito dall’Elba, rientrò trionfalmente a

Parigi, rimise in piedi un poderoso esercito e si preparò ad affrontare tutte le nazioni

d’Europa coalizzate contro di lui. Lo scontro avvenne in Belgio, a Waterloo.

Napoleone fu sconfitto ed esiliato nell’isola di Sant’Elena in pieno Oceano

Atlantico.

Il Congresso di Vienna tra tutte le potenze europee, già convocato nel 1814 dopo

Lipsia, pose le basi per una restaurazione dell’antico regime, considerando la

Rivoluzione Francese e il periodo napoleonico come una parentesi che con Waterloo si

chiudeva definitivamente.

Si sbagliavano. L’intero Ottocento fu caratterizzato da lotte, movimenti e

guerre per riaffermare i principi dell’Ottantanove.

“Napoleone stesso cercò nel suo Mémorial de Sainte-Hélène

(pubblicato nel 1823 a cura del conte di Las Cases) di collocare la

sua azione in una prospettiva storica: ormai escluso da ogni

possibilità di agire, nella riflessione degli ultimi anni volle

presentare la sua opera come intesa alla liberazione delle forze

nazionali oppresse. Ma una certa storiografia ha respinto questa

interpretazione, scorgendo nella figura di Napoleone i caratteri del

dispotismo illuminato settecentesco. Anche per quanto riguarda la

funzione di Napoleone quale diffusore in Europa dei principî

rivoluzionarî, è stato rilevato il suo duplice atteggiamento di

fronte alla rivoluzione dell'89; da una parte egli ne realizzò alcune

istanze (si pensi all'opera legislativa), dall'altra ne contraddisse

alcuni postulati fondamentali: restaurò infatti le forme della

monarchia e avviò la costituzione di un nuovo ceto privilegiato,

innalzando alla nobiltà gli elementi, soprattutto militari, a lui

fedeli. La funzione storica di Napoleone va individuata, pertanto,

nella rottura del vecchio equilibrio europeo, cioè di quell'assetto

internazionale che il sistema della Santa Alleanza [messo in piedi

dal Congresso di Vienna] non riuscì a preservare dall'urto

rivoluzionario del sec. 19; e, altrettanto, nella rottura dell'antico

equilibrio sociale, avviata in Francia già nel decennio

rivoluzionario, che si approfondì in seguito all'espansionismo

napoleonico, anch'esso suscitatore di nuove energie e forze

sociali.”

(dalla voce Napoleone I della Enciclopedia Treccani on line)

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