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Writer's pictureAntonio Longo

L’EREDITÀ DELL’EPOCA NAPOLEONICA – IL CODICE

Il Codice napoleonico (il Code) esercitò un’influenza diretta sulla legislazione di molti Stati preunitari, ponendo le premesse della loro successiva integrazione a partire dal nuovo Codice del 1865.

Con la stesura e l’approvazione del Code – e la sua successiva estensione a tutti i territori dell'Impero – si intendeva porre fine alla tradizione giuridica dell'Ancien Régime, caratterizzata dalla frammentarietà e dalla molteplicità delle regole, frutto del diritto comune che si era sviluppato in Europa dal X secolo, nel quale un peso significativo aveva la consuetudine. Assolutamente originale e innovativo, il Code rappresentò il primo importantissimo tassello della sistematizzazione del diritto, cui fecero seguito le codificazioni della procedura civile, del diritto commerciale, e del diritto e della procedura penali.

Il Code tra vecchio e nuovo L'opera napoleonica è il risultato del ripensamento delle idee illuministiche e rivoluzionarie combinate con elementi della tradizione giuridica francese. In Francia convivevano da secoli due sistemi giuridici diversi: nel sud si era affermato quello scritto, erede del Codice di Giustiniano; nel nord, invece, dominava quello che individuava nelle consuetudini la sua fonte giuridica principale, ed era espressione della tradizione franco-carolingia. Dalla formazione dello Stato assoluto iniziava a essere sempre più sentita l'esigenza di unificare il diritto e la Costituzione del 1791 stabiliva nelle Disposizioni fondamentali: "sarà fatto un codice di leggi civili e comuni a tutto il regno" (testo completo disponibile alla pagina http://www.dircost.unito.it/cs/docs/francia179.htm). Rispetto agli altri tre progetti di Codice civile presentati da Jean-Jacques Régis de Cambracérès alle assemblee rivoluzionarie negli anni 1793, 1794 e 1796 (respinti del tutto o in parte per motivi diversi), quello napoleonico aveva il pregio di cercare un punto di equilibrio tra il passato e il presente, tra il diritto giustinianeo, quello franco-carolingio e le nuove esigenze messe in luce dalla Rivoluzione.

Questi sono gli elementi per cui, secondo alcuni studiosi, il Code civil des Français è molto più di un'opera francese: è un'opera europea, fin dalle sue origini, perché le due tradizioni giuridiche cui faceva riferimento erano quelle più diffuse nell'Europa continentale. I grandi principi ispiratori sono cinque:

• - Unità del diritto: lo stesso diritto deve applicarsi all’insieme degli abitanti di uno stesso territorio.

• - Unità della fonte giuridica: una sola autorità deve avere la competenza per elaborare leggi e decreti.

• - Diritto come sistema organico e razionale, completo: ogni nuova disputa deve essere regolata da un solo e unico diritto.

• - Indipendenza del diritto, conformemente alla teoria della separazione dei poteri enunciata da Montesquieu nello “Spirito delle leggi”.

• - Evoluzione del diritto: il diritto è chiamato ad adattarsi ai cambiamenti della mentalità collettiva.

Il Code: struttura Il Codice Civile dei Francesi, dal 1807 Codice Napoleone, venne promulgato in Francia il 21 marzo 1804 come risultato del lavoro di una commissione ristretta e dei successivi contributi dei Tribunali di Cassazione, dei Tribunali d’Appello e delle discussioni svoltesi nella Commissione di legislazione del Consiglio di Stato. La commissione incaricata della stesura della bozza era formata da François Denis Tronchet e Jacques Maleville (rispettivamente, presidente e giudice della Corte di Cassazione), Félix Julien Jean Bigot de Préameneau (membro del vecchio Parlamento di Parigi soppresso dalla Rivoluzione), Jean Etienne Marie Portalis (commissario di Governo, alto funzionario amministrativo). I quattro arrivavano da zone diverse del paese e rappresentavano equamente le due tradizioni giuridiche francesi. Il presidente era Jean-Jacques Régis de Cambacérès, secondo Console della Repubblica e, spesso, fu Napoleone stesso. Nel Codice venivano sistematizzate le più importanti conquiste della Rivoluzione francese. L'individuo, insieme al principio di laicità, ne è il punto di partenza. Esso riunisce le 36 leggi approvate tra il 1803 e il 1804 ed è composto da 2281 articoli. Il primo libro del Code è dedicato alle persone: godimento e privazione dei diritti civili, atti dello stato civile, matrimonio e divorzio, potestà genitoriale, tutela dei

minori e adozioni. La maggior parte degli articoli, dunque, è dedicata al diritto di famiglia e, pur essendo maggiormente restrittivo e conservatore delle regole affermatesi durante la Rivoluzione francese, rappresentò in molti territori dell'Impero una cesura con il passato piuttosto significativa: i figli avevano pari dignità indipendentemente dal sesso, veniva riconosciuto ai figli naturali qualche diritto e l'autorità maschile veniva decisamente limitata. Molto interessante anche la prima parte, relativa al diritto di cittadinanza. Il secondo e il terzo libro, Dei beni e delle differenti modificazioni della proprietà e Dei differenti modi coi quali si acquista la proprietà, sono dedicati, rispettivamente, al regime patrimoniale (con l'abolizione del feudo e del sistema feudale) e alle relazioni tra le persone private (diritto patrimoniale nei rapporti parentali, contratti e obbligazioni). IL CODICE NAPOLEONICO IN ITALIA

Il Codice civile come strumento per uniformare la Penisola alla Francia Il Codice civile entrò in vigore nel Regno italico – nella triplice versione italiana, latina e francese – in seguito al decreto firmato da Napoleone a Monaco il 1° aprile 1806. A quel tempo, esso era già vigente nel Piemonte annesso alla Francia (1804), nella ex Repubblica ligure, a Parma e Piacenza (1805). Seguirono Lucca (maggio 1806), la Toscana e il Regno di Napoli (1809), l’Umbria e il Lazio (1812). Da parte di Napoleone era evidente – dopo la nascita del Regno italico – il desiderio di uniformare la penisola alla Francia sia sul piano politico sia su quello legislativo. Tale intento divenne palese con l’abbandono di una precedente bozza di riforma, elaborata dal giurista Alberto De Simoni (1802), che si sforzava di realizzare un compromesso tra la legislazione francese e quella lombarda prerivoluzionaria, incline a riconoscere ai giudici un certo margine di autonomia nell’interpretazione delle norme. Il nuovo Codice, viceversa, intendeva fondarsi sul diritto naturale e sul concetto di “verità una e indivisibile”. Il Codice civile e i princìpi dell’89 L’applicazione del nuovo Codice alla maggior parte della penisola, sia pure in tempi e modi diversi, comportò alcune significative conseguenze. Popolazioni che avevano vissuto sotto ordinamenti politici e giuridici assai diversi si trovarono a condividere un unico ordinamento improntato a princìpi comuni. Il nuovo Codice, con

l’abolizione del feudo e dei fedecommessi, intese rimuovere due importanti ostacoli alla disponibilità e al libero trasferimento delle proprietà. Più in generale, esso si fece portatore di molti principi del 1789, come l’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, la laicità dello Stato, la libertà di coscienza, la libertà di lavoro, l’eguaglianza tra i figli legittimi in materia di eredità, l’introduzione del divorzio, pur fornendo di questi principi un’interpretazione più restrittiva di quella prodottasi negli anni della Rivoluzione, in particolare per ciò che concerneva il rafforzamento dell’autorità maritale nei confronti delle donne. L’influenza del Codice napoleonico dopo la Restaurazione Dopo la sconfitta del bonapartismo e con la Restaurazione non si spense l’influenza acquisita dal Codice nella penisola italiana, uscita dal Congresso di Vienna di nuovo divisa. L’influenza delle codificazioni napoleoniche appare profonda e radicata nel Regno delle Due Sicilie dove, dopo quattro anni di proroga dell’ordinamento legislativo precedente, venne approvato nel 1819 un nuovo Codice in tre libri molto simile all’originale francese, con esclusione degli articoli che facevano riferimento a matrimonio e divorzio. Nel 1837 fu promulgato il Codice civile del Regno di Sardegna, anch’esso ampiamente ispiratosi al Code. Nei territori del rinato Stato Pontificio e soprattutto in Toscana (esclusa Lucca) l’immediata abrogazione del Codice (autunno 1814) ripristinò il precedente ordinamento. Nello Stato Pontificio questo ritorno al passato venne mitigato dall’approvazione, dopo il 1821, di un Codice di procedura civile e da un Regolamento di commercio di derivazione francese. Nel Lombardo-Veneto, tornato nelle mani degli Asburgo, nel 1816 entrò in vigore il Codice civile generale austriaco (ABGB), anch’esso fondato su presupposti giusnaturalistici e sul diritto romano, ma diverso nel modo di declinare tali principi e negli orientamenti politici. I principi introdotti nel 1806 influenzarono in modo significativo il nuovo Codice entrato in vigore nel 1865. I motivi della sua persistente influenza vanno almeno in parte rintracciati nelle sue stesse origini. Nella sua stesura originaria, esso era stato il frutto di un serrato confronto tra la corrente del diritto ‘consuetudinario’, prevalente nel nord della Francia, e la tradizione provenzale, maggiormente legata al diritto romano. Fu

quest’ultima tendenza a prevalere. Dunque, al momento della sua ‘importazione’ in Italia, molti dei principi del Code erano ben conosciuti dalla cultura giuridica della penisola, essendo rintracciabili, appunto, nel diritto romano



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