Nel 1700, alla morte di Carlo II, ultimo degli Asburgo di Spagna, si apre in Europa un periodo di turbolenze, per la mancanza di un erede legittimo al trono spagnolo e la pretesa francese di imporre un Borbone al trono di Madrid, con conseguente conflitto militare tra le nazioni europee: la guerra di Successione spagnola, lunga e cruenta, che si chiude nel 1713 con il trattato di Utrecht e la perdita da parte della Spagna dei suoi domini italiani. E una svolta storica per il regno di Napoli perché si interrompe il vincolo di dipendenza dalla Spagna, venendo meno la secolare egemonia spagnola che tanto ha improntato di sé la cultura, la politica, l'economia. E dopo un periodo di 27 anni, dal 1707 al 1734 - in cui il ramo austriaco della dinastia degli Asburgo regna a Napoli - e più di vent'anni di lotte dinastiche, si insedia nella capitale partenopea Carlo III di Borbone, iniziando in tal modo una nuova e travagliata dinastia che restituisce al regno di Napoli la sua indipendenza e dappertutto, a Napoli come nelle Province, si diffonde una sensazione di "nuovo" che alimenta speranze di riscatto economico e sociale e l'avvento di una società riformata. La nuova monarchia al potere, infatti, si propone una politica di grandi riforme per incentivare la crescita economica, risanare le disastrate finanze pubbliche e favorire lo sviluppo della società civile, cercando di controllare i poteri temporali della Chiesa e lo strapotere della nobiltà per rafforzare la direzione centrale dello stato. Il riformismo carolino, però, non riesce ad attivare riforme ad ampio raggio per la forte reazione degli interessi colpiti, limitandosi ad intervenire in settori più circoscritti, e dimostrandosi in tal modo impotente a governare le tante e contraddittorie spinte sociali e le tensioni politiche che ne conseguono. Carlo III, per rilanciare l'economia asfittica del regno, consapevole di come in periodo di antico regime sia il Comune l'organismo base del sistema fiscale, avendo tutto l'interesse a regolare e controllare l'amministrazione finanziaria comunale, dopo aver rimesso nel 1737 a tutte le università ogni debito fiscale arretrato, mette mano alla riforma tributaria con l'obiettivo dell'equità, in modo che "i pesi siano con eguaglianza ripartiti ed il povero non sia caricato più delle sue deboli forze ed il ricco paghi secondo i suoi averi". Con dispaccio del 4 ottobre 1740 il re impone la formazione del catasto a tutti i comuni del regno, e a partire dal marzo 1741, la regia Camera della Sommaria, cui compete l'attuazione della riforma, emana numerose disposizioni regolamentari, fino al 29 settembre 1742, quando vengono emanate "le seconde istruzioni"; con il termine perentorio di concludere la formazione del catasto entro quattro mesi. La formazione del catasto, infatti, è affidata agli amministratori comunali, sindaci e cittadini eletti, che compongono il corpo dell'università, cui compete tutta una serie di atti procedurali. In questo contesto particolare importanza assumono i bandi pubblici che riguardano la formazione e l'esibizione delle "rivele" (che costituiscono i documenti base di tutto il procedimento catastale), e la convocazione del pubblico parlamento per la scelta dei rappresentanti. L’assemblea pubblica infatti ha il compito di eleggere sei deputati (due per ogni ceto) e quattro estimatori (due cittadini e due forestieri), scelti tra agrimensori e apprezzatori esperti del territorio comunale, destinati, i deputati, a controllare le procedure e a discutere le rivele, e gli estimatori, a formare il libro dell'Apprezzo generale che interessa tutti gli appezzamenti agricoli-forestali, compresi i beni ecclesiastici (anche quelli esenti come i beni delle parrocchie, del seminario e degli ospedali) e quelli feudali, anch'essi esenti.
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